
«Questo fu il viaggio del signor Pickwick e dei suoi amici col Telegrafo di Muggleton alla volta di Dingley Dell; ed alle tre di quello stesso giorno, si trovavano tutti, ritti e asciutti, sani e salvi, forti ed allegri, sulla soglia del Leone turchino, avendo già ingollato lungo la via tanta birra e acquavite da mettersi in grado di sfidare la gelata che copriva il terreno dei suoi strati durissimi e andava sospendendo i suoi bei ricami bianchi agli alberi e alle siepi. Il signor Pickwick era tutto assorto in contare le sporte delle ostriche e in sopraintendere al disseppellimento del merluzzo, quando si sentì dolcemente tirato per le falde del soprabito; si voltò e scoprì che la persona la quale ricorreva a questo mezzo di richiamare la sua attenzione era né più né meno che il paggio favorito del signor Wardle, meglio noto ai lettori di questa disadorna istoria sotto l’appellativo del ragazzo grasso.
— Ah, ah! — esclamò il signor Pickwick.
— Ah, ah! — fece il ragazzo grasso.
E accompagnando questa esclamazione con un’occhiata che andava dal merluzzo alle sporte di ostriche, gorgogliò un riso di soddisfazione. Era più grasso che mai.
— Bravo, avete una cera molto rubiconda, — disse il signor Pickwick.
— Sono stato a dormire proprio davanti al fuoco, — rispose il ragazzo grasso, che un’ora di sonno aveva scaldato fino alla tinta d’un mattone cotto. — M’ha mandato il padrone con la carretta per portare a casa il vostro bagaglio. Avrebbe anche mandato dei cavalli da sella, ma ha pensato che col freddo che fa avreste preferito farvi il cammino a piedi.
— Sì, sì, — disse subito il signor Pickwick, ricordandosi di un altro famoso viaggio fatto sulla medesima via. — Sì, preferiamo venircene a piedi. Sam!
— Signore?
— Date una mano al domestico del signor Wardle per mettere i bagagli sulla carretta, e montate con lui. Noi c’incamminiamo avanti.
Dato quest’ordine e pagato il cocchiere, il signor Pickwick e i suoi tre amici presero il sentiero attraverso i campi, e si avviarono di buon passo, lasciando a fronte per la prima volta il signor Weller e il ragazzo grasso. Sam guardò con grande stupore al ragazzo, ma senza dire una parola; e incominciò a caricare il bagaglio sulla carretta, mentre il ragazzo grasso se ne stava tranquillamente da parte, pensando forse esser una cosa molto interessante vedere il signor Weller che lavorava da sè.
— Ecco fatto, — disse Sam gettando sulla carretta l’ultima sacca da viaggio.
— Sì, — disse il ragazzo grasso soddisfatto, — ecco fatto.
— Ebbene, piccolo pezzo da cento, — disse Sam, — così come siete, avreste il premio alla fiera.
— Grazie, — rispose il ragazzo grasso.
— Non avete nulla pel capo che vi tormenti? — domandò Sam.
— Non mi pare, — rispose il ragazzo.
— Avrei pensato, a vedervi, che foste consumato di dentro da una passione sorda per qualche bella giovane, — disse Sam.
Il ragazzo grasso crollò il capo.
— Ebbene, — disse Sam, — mi fa piacere di saperlo. Bevete mai qualche cosa?
— Mi piace meglio mangiare, — rispose il ragazzo.
— Ah, me lo figuravo; ma in somma, lo pigliereste un sorso di qualche cosa, tanto per scaldarvi? Del resto, in quanto a freddo, con codesta ciccia addosso, non credo che ne abbiate idea.
— Qualche volta sì, ed allora mi piace un gocciolo di qualche cosa, quando è buono.
— Ah sì? Bravo! Venite di qua allora.
Arrivarono subito nella sala del Leone turchino, e il ragazzo grasso ingollò un bicchiere di liquore senza batter ciglio, il che gli fece guadagnar molto nella stima del signor Weller, il quale, sbrigata che ebbe per conto proprio la medesima faccenda, tornò alla carretta seguito dal ragazzo e insieme vi montarono.
— Sapete guidare? — domandò il ragazzo grasso.
— Crederei di sì, — rispose Sam.
— A voi dunque, — disse l’altro dandogli le guide e accennando ad un sentiero. — Sempre diritto, non potete sbagliare.
Con queste parole il ragazzo grasso si distese amorosamente a fianco del merluzzo, e fattosi guanciale di una sporta di ostriche, si addormentò istantaneamente».
Charles Dickens, Il circolo Pickwick, 1836 (Traduzione dall’inglese di Federigo Verdinois 1904)
Lo Stoccafisso accomodato alla genovese
1 kg. stoccafisso già bagnato, 300 g. di patate, 20 g. di funghi secchi, 1 manciata di foglie di prezzemolo, 1 cipolla, 1 costa di sedano, 1 spicchio d’aglio, 2 acciughe sotto sale, 1 manciata di pinoli, 1 manciata di olive verdi snocciolate, 1 manciata di olive nere taggiasche, 1 cucchiaio di conserva di pomodoro casereccia, 6 cucchiai di olio d’oliva extra vergine sale q.b.
Preparazione:
Scottate lo stoccafisso in acqua bollente leggermente salata per circa 10 minuti, per poterlo pulire.
Scolatelo e pulitelo, eliminando pelle e lische, con il coltello fatelo a pezzetti.
Preparate il soffritto, pulite sedano, carota e cipolla e tritateli.
Versate olio extravergine della riviera e il trito di verdure in un tegame, e fate rosolare le verdure.
Poi unite i pinoli e le acciughe salate (mi raccomando lavate prima per dissalarle e deliscate), e cuocete.
Ammollate i funghi secchi in acqua tiepida, scolateli e asciugateli leggermente con un canovaccio o carta da cucina, tritateli grossolanamente ed uniteli al soffritto (non gettate l’acqua di ammollo, ma usatela per bagnare lo stoccafisso durante la cottura). Sciogliete la conserva casereccia di pomodoro in poca acqua tiepida e versate anch’essa nel tegame Unite nel tegame lo stoccafisso pulito al soffritto, bagnate con l’acqua di ammollo dei funghi, salate, e fate cuocere a fuoco basso per circa mezzora, mescolando di tanto in tanto ed aggiungendo altra acqua tiepida se necessario. Passata la mezzora, aggiungete il prezzemolo tritato assieme all’aglio, e le olive sgocciolate.
Fate cuocere per circa un’oretta, sempre mescolando di tanto in tanto ed unendo acqua calda per non fare asciugare troppo.
Unite poi le patate pelate e tagliate a cubetti.
Cuocete sino a che le patate sono ben cotte.
Impiattate e servite caldo.
La ricetta è tratta da https://www.ristorantedarina.it/le-nostre-ricette/ Ristorante Da Rina – Genova
Il vino con lo stokke.
2019, Pigato Riviera Ligure di Ponente, Terre Bianche
Vermentino, pigato, favorita, rolle e verlantin (francesi) possono essere utilizzati per un dibattito filosofico-scientifico, ad ampio respiro, sull’identico e sull’uguale. Perché abbiamo voglia a dire che vermentino e pigato godono al 100% dell lo stesso profilo del DNA e che provengono dallo stesso vitigno iniziale cresciuto da un solo seme d’uva. Ma, con i secoli a venire e ad andare, per carattere e individualità, il pigato si abbellisce di foglie più lobate e più piccole dell’altro, di diversi i germogli (verde chiaro con sfumature rosa ed orlo carnicino), di acini meno tondeggianti e con piccole macchie sulla buccia (da cui pigau, ovvero “macchiettato” in dialetto). Abbiamo voglia, insomma. E se si va in un posto che ne ricorda altri non lontani e più o meno vicini, ma ne è alquanto differente per esposizione, altitudine (400 s.l.m.m.) argille e arenarie, vicinanze al mare e alle coltri di nubi che circondano le montagne, le cose cambiano ancora. Quindi il 2019 e un viticoltore, Filippo Rondelli che vai a sapere se in quell’anno, il 2019 per l’appunto, pur essendo identico per DNA al Filippo Rondelli del 2018, fosse totalmente uguale al Filippo Rondelli del 2018. Ma ne dubito. Questo pigato 2019 gioca, e piuttosto bene, su tutti i versanti da cui raccoglie ispirazione e lungimiranza, una bellissima lungimiranza: pesche gialle, limoni, miele aprono ad primo ingresso morbido e succulento per lasciare il passo lento ma inesorabile ad un centro bocca in cui si affastellano e si ricompongono fiori, erbe e macchia mediterranea, salvia soprattutto, resine, sali e pietre delle montagne d’intorno. E un finale lungo, leggermente balsamico, sicuramente amarognolo come è il fatto suo.