Che cosa distingue un degustatore di vino da un degustatore di birra? Forse i preliminari, ma sicuramente le conclusioni

Pierre Le Roy de Boiseaumarié durante una degustazione Di Véronique PAGNIER – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10756601

Siamo abituati a pensare che scegliamo di bere prevalentemente questo o quello sulla base delle nostre propensioni individuali in materia di gusto o sul fondamento delle culture di provenienza, degli influssi astrali, delle condizioni climatiche, delle compagnie cantanti, del momento in cui accade (ad esempio durante una partita di pallone o alla festa da ballo delle debuttanti), delle condizioni sociali o semplicemente per non deludere ed eludere il potenziale partner. Tutte cose che contano indubbiamente, ma che non bastano a spiegare la reciprocità che un determinato liquido ha nei nostri confronti. Non perché esso sia portatore di un’intelligenza superiore (anche se in molti è evidente) o inferiore, non perché antropomorfizzato o perché parli e sussurri nelle orecchie dopo un’incredibile sbronza (cosa possibile naturalmente), ma per le sue capacità adattive e di riconoscimento. In qualche modo il liquido ci sceglie. Se poi si è scalato adeguatamente il tracciato della conoscenza e ci si può fregiare del titolo di benemerenza, senza alcuna decenza, da degustatore, allora la cosa è ancor più che evidente.

Jean-Luc Henning (Érotique du vin, éditeur ZULMA, 1999) già alla fine dello scorso secolo annota che il degustatore di vino sia uno strano animale, ovvero uno che prova piacere con i preliminari: “si limita ad avvicinarsi alle cose, a sfiorarle semplicemente, senza mai lasciare che il vino penetri in lui, rifiutando di continuare, accontentandosi delle premesse del piacere, di piccoli cenni di apprezzamento, di furtarelli amorosi. Come se sperasse in qualcosa di più, ma preferisse alla fine limitarsi alla sola speranza”. Dopo averlo guardato dall’alto e dal basso, in controluce e attraverso di essa, fatto roteare come dei dervisci rotanti che girano sulle spine dorsali, dopo averlo gargarizzato muovendo sapientemente l’apparato zigomatico, il degustatore “chiude gli occhi per imbeversi meglio nel liquido e per apprezzarne più a fondo la rotondità delle forme, la qualità e l’elasticità delle carni, e poi, pffffft!, risputa fuori immediatamente il prodotto delle sue meditazioni”. Quasi se il vino non gli interessasse più o gli interessasse in modo diverso.

Amore e Psiche è un gruppo scultoreo di Antonio Canova, realizzato tra il 1787 e il 1793, Opera propria, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=23966171

Anche Søren Kierkegaard, circa due secoli fa, senza mai accennare né al vino né alla birra o ad altra bevanda del godimento, la racconta allo stesso modo allorché sostiene che “l’attesa è una freccia che vola e che resta conficcata nel bersaglio, mentre la realizzazione dell’attesa è una freccia che oltrepassa il bersaglio”.

L’attesa, per il degustatore di vino, è già il raggiungimento del fine proposto. Ed è proprio in quell’attesa che il degustatore di vino indugia.

Il degustatore di birra, dal suo canto, osserva la limpidezza e il colore, la trama, l’abbondanza e la consistenza della schiuma, gli sconfinati territori olfattivi, si adopera nella complessa evoluzione gustativa, dalle percezioni tattili, persino trigeminali!, ma soltanto per arrivare a quelle post-gustative. Insomma il tutto si chiude, come la retorica amorosa ha raccontato in innumerevoli pubblicazioni e film d’autore, nella fumosa sigaretta del dopo.

Vi è dunque tra soggetto deglutente con cognizione e di causa e il liquido bevuto una stretta complicità d’intenti e di proposizioni vitali. Nulla esclude, d’altra parte, che si possa passare da un liquido ad un altro, con tempi e modalità diverse, a rappresentare condizioni e stati d’animo differenti, anche se, in ogni caso, prevale un indirizzo preferenziale d’intenti.

Mi parve di sentire, infatti, ad un festival dedicato alla birra acida, una Kriek carica di lamponi e ciliegie rivolgersi ad un tipo tutto in tiro, con completo in giacca e cravatta, e dirgli: “ma come ti vesti, brutto buzzurro!?!!!”

Il vino del futuro agisce già su quello del presente

Di Quinn Publishing / Kenneth Fagg – http://thegoldenagesite.blogspot.com/search/label/Ken%20Fagg, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44146775

Debbo ricondurmi ancora una volta a Karl Marx studioso e non tanto alle sue doti di chiaroveggenza, mai avute per la verità, né alle sue ipotesi di società futuribili che lasciano ampi spazi di interpretazione e di possibile confutazione previsionale. Sia nei “Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica – Grundrisse” che nei “Manoscritti economico filosofici”, Marx fece riferimento alla società futura richiamando esplicitamente il fatto che elementi propri di ciò che sarà non solo debbono già essere presenti, ma che essi agiscono affinché lo stato delle cose cambi in modo radicale. I suoi punti di riferimento furono l’analisi dei i modi e dei rapporti di produzione, il partito e le classi sociali. Qualche decennio più tardi Lenin parlò della possibilità di un cambiamento radicale qualora l’involucro non dovesse più corrispondere al contenuto dello stesso (L’imperialismo. Fase suprema del capitalismo). Il futuro, attraverso diversi segnali, siano essi elementi produttivi, culture organizzative, tecnologie o altro agisce, dunque, a ritroso nel presente e lo conferma nei suoi aspetti determinanti destinati ad imporsi. I meccanismi non sono certo facili da scorgere e non accadono in maniera casuale: proprio perché sono intellegibili, profondamente umani e strettamente correlati tra loro, la miglior critica è quella che ci permette di intuire questi elementi e di trarne un relativo vantaggio d’azione. Ma questo dice anche altre cose: un’azione che anticipi i tempi fecondi rischia non solo di non essere compresa, ma anche di fallire, come un’eterna Cassandra, nei suoi esiti più realizzabili. Un’azione attesa al contrario, eternamente posticipata, a sua volta, si configura come inazione. L’azione migliore è quella che scorgendo alcune variabili e facendole proprie, anticipa gli accadimenti e cerca di condurli verso una propria visione politica (etica).

Dunque il vino.

Due sono e questioni che mi sono venute in mente: la prima è di carattere generale e investe sostanzialmente le modalità, in termini macro, con cui alcuni fattori incidono sulla produzione. In questo caso il futuro, attraverso i cambiamenti climatici, le concentrazioni produttive, le sensibilità ecocompatibili, biologiche e naturali, i mercati, i prezzi, il benessere, la salute, il controllo sociale, le evoluzioni tecnologiche e di questo passo, agisce già in maniera significativa su quelli che sono delle condizioni che solo un decennio fa erano appena accennate. I caratteri mutanti dell’oggi prevedono rapide accelerazioni, anch’esse impensabili sino a pochi anni passati, di status.

La seconda cosa è singola: di quel vino, di quell’annata, di quel produttore, da quei vitigni di quel o quei luoghi. Spesso si fa riferimento alla giovanile esuberanza di un certo vino, di cui si dice che “è un bambino”, facendo così intendere che i suoi caratteri evolutivi lo porteranno ad una piacevole pubertà e, coerentemente, ad una compiacente, rotonda e armonica maturità. Talvolta succede, ma altre volte no. Lo si può comprendere? Sì, anche se non sempre pienamente, a patto che si consideri quel futuro che già agisce ora in quel vino e si valutino le circostanze presenti che lo traghetteranno verso una nobile evoluzione. Tutto il resto permettendo.

Un vino rotondo è un vino che si approssima per eccesso o per difetto?

Pentagramma mirificum di Mciura – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=75309400

I matematici, i fisici, i chimici, gli astronauti, i panettieri, i verdurieri, i macellai e tante altre categorie professionali similari abitualmente arrotondano. Secondo le regole scientifiche gli uni e in base alla mancanza o meno del resto in centesimi i secondi. I clienti, in generale, apprezzano solo gli arrotondamenti per difetto, a meno che non debbano riciclare del denaro sporco. Gli arrotondamenti per difetto vengono apprezzati dagli avventori come buona attitudine del commerciante nei loro confronti, mentre vengono assolutamente spregiati dagli studenti, che amano soltanto gli arrotondamenti per eccesso e, in taluni casi, per eccessivo eccesso (soprattutto a fine anno scolastico).

Un arrotondamento monetario, per difetto, di un prodotto o di un servizio vengono graditi maggiormente in caso di emissione regolare di fattura o di scontrino, mentre trovano un alto gradimento, nel caso in cui il pagamento sia in nero, soltanto quando il difetto sia almeno del -30% o superiore.

Andare vicino a qualcosa, spingere verso e, nello stesso tempo, allontanarsi da qualcos’altro è la caratteristica dell’approssimarsi e dunque dell’arrotondare.

Le medesime considerazioni me le sono poste a riguardo dei vini e, in particolare, dei vini cosiddetti “rotondi” o dal gusto “rotondo”. Rotondo: di un vino allo stesso tempo pieno e morbido recitava “Il dizionario dei termini del vino” di Veronelli editore e curato da Alessandro Masnaghetti nel 2001. Allo stesso modo il dizionario dei termini di Winenews: quasi sinonimo di morbido; si usa per descrivere un vino in cui i sapori dolci equilibrano o dominano i sapori acidi e tannici. (https://winenews.it/it/il-linguaggio-del-vino_284690/)

I vini rotondi o dal gusto rotondo smussano gli angoli condizionati dalle durezze, dagli acidi, dai tannini, dai sali minerali, magari evidenziando una buona dose di alcol, di alcoli e zuccheri poco e o molto svolti e un estratto secco da campioni: certo è che le parti cosiddette dure non possono mancare, ma come sottofondo, in modo tale che l’edificio non crolli o si afflosci per terra come un liquido qualsiasi. L’arrotondamento si configura come una approssimazione per eccesso alla morbidezza, alla pienezza o ad altro e nel fare questo evolve in una approssimazione per difetto nei riguardi della durezza, dell’esilità o di altro. Non è detto, aperta parentesi, che tutte le caratteristiche di morbidezza o di durezza debbano coesistere: sarebbe preferibile separarle con una “o” piuttosto che con una “e”.

Ma il punto è un altro: quando ci si approssima a qualcosa inevitabilmente ci si distanzia da qualcos’altro. In questo senso non ho mai pensato che i vini più morbidi e, tendenzialmente, più alcolici, siano necessariamente più pieni. Di qualcosa sicuramente sì, ma di qualcos’altro indubbiamente no. In definitiva si eccede e si difetta allo stesso tempo e non è detto che l’equilibrio, seppur temporaneo, sia la soluzione migliore.