Premessa
Viviamo in un mondo che ricorre incessantemente al proprio passato: non c’è soggetto attivo che non produca documentazione sul tempo che fu, sulla tradizione, sulla memoria storica dei luoghi e delle pratiche antiche. Questa patina, spesso luccicante quanto artificiale, è costruita ad uso e consumo del presente, o meglio ne è una costante e consumata dilatazione. Le ragioni di tali attività sono diverse, ma convergono tutte nell’avvaloramento di prodotti, produzioni, nomee e benefici ad uso e consumo della contemporaneità.
Leonardo da Vinci e Zanobi Boni. Forse.
Non vi è alcun dubbio riguardo l’interesse di Leonardo da Vinci per il vino, la viticoltura e l’enologia[1]. Altra cosa è invece l’attribuzione allo stesso di scritti e conoscenze che molto probabilmente non gli appartennero o che quantomeno sono di difficile attribuzione.
Nel novero dei testi incerti fa parte la lettera che Leonardo pare abbia inviato da Milano al suo castaldo (fattore), tale Zanobi Boni, il 9 dicembre del 1515. Partiamo innanzitutto dalla fonte: la lettera fu pubblicata per la prima volta a Londra, nel 1828, da John William Brown nel volume Life of Leonardo da Vinci: with a critical account of his work[2]. La nota del testo afferma che l’autografo della lettera, scritto da sinistra a destra alla maniera usuale di Leonardo (nel testo), era stato acquistato dal Sig. Bourdillon, nel 1822, da una signora abitante nei pressi di Firenze. Ma dell’originale non vi è alcuna traccia.
La lettera è rinvenibile, molti anni dopo che Wiliam Brown ne riferisse, in una collezione critica di Gustavo Uzielli, “Ricerche intorno a Leonardo da Vinci”, pubblicata a Firenze nel 1872, in cui si sosteneva in nota che “noi però, fatte le debite riserve, nutriamo qualche dubbio sull’autenticità di questa lettera”.
Se per lo studioso toscano di fine Ottocento il dubbio è d’obbligo, così non pare lo sia per alcuni autori a noi contemporanei: nell’ultimo scritto di Luca Maroni, ad esempio, dedicato al rapporto tra Leonardo da Vinci e il vino[3] si fa riferimento all’autenticità della lettera citando proprio il menzionato Gustavo Uzielli senza che venga fatto alcun riferimento ai forti dubbi espressi dallo stesso: “I massimi leonardisti come Carlo Pedretti e Gustavo Uzielli (che pubblicò la lettera nel suo “Ricerche intorno a Leonardo da Vinci”, Firenze, Pellas 1872), o come gli attuali Paolo Galluzzi e Alessandro Vezzosi, considerano autentica tale lettera[4]”.
Le riserve di uno studioso e la comparazione scientifica.
Quali furono le riserve espresse da Gustavo Uzielli? Esse non afferiscono né al dato esistenziale della lettera, su cui non poteva avere alcuna prova diretta, né alla conformità stilistica, morfologica e sintattica con altri scritti dello stesso Leonardo, ma al contenuto della stessa: “Queste due ultime frasi mostrano che Leonardo conosceva le proprietà degli ingrassi minerali, e le funzioni respiratorie delle parti aeree delle piante (funzione clorofilliana). La scoperta delle prime si attribuisce a Priestley nel 1771, e delle seconde a varî, vissuti in tempi assai posteriori a Leonardo”.
Gustavo Uzielli si chiese, molto semplicemente, come potessero essere note a Leonardo delle conoscenze scientifiche che sarebbero state note circa duecentocinquanta anni dopo.
Riporto qui le frasi ‘incriminate’ di Leonardo da Vinci: “Sapete che vi ho detto che sarebbe stato meglio concimare lo scasso a cordone (nel quale sono alloggiate le parti radicali della vite) quando il terreno sottostante è magro e ricoprire le radici con calce o la malta secca di vecchi muri perché questo le mantiene asciutte; e il fusto e le foglie attraggono dall’aria la sostanza necessaria per portare l’uva alla perfezione (a compimento)”.
Le caraffe ricevute e le pratiche adatte alla produzione di un vino eccellente. Forse.
La “lettera al castaldo (fattore) Zanobi Boni”, il cui nome non comparve, se non in questo, in nessun altro scritto leonardiano, cominciava con Leonardo da Vinci che si lamentava sulla qualità del vino contenuto nelle ultime caraffe ricevute: “non furono secondo la espettatione mia le quatro ultime caraffe et ne ò auto rammarico”. Le caraffe, secondo l’interpretazione di Ignazio Calvi, avrebbero potuto contenere 40/50 litri di vino ciascuna. Se Leonardo trattò, nella prima parte della lettera, delle migliorie legate alla coltivazione della vite, la seconda si concentrò su alcune pratiche vinicole adatte alla produzione di un vino eccellente: le fermentazioni coperte e i frequenti travasi. “Poi pessimamente alli dì nostri facemo il vino in vasi discuoperti et così per l’aria fuggi l’exentia in el bullimento, et altro non rimane che un umido insipiente culorato dalle bucice et dalla pulpa: indi, non si muta come fare si debbe, di vaso in vaso, et per lo che viene il vino inturbidato et pesante nei visceri. Conciosiacosaché si voi et altri faciesti senno di tale raggioni berremmo vino excellente”. Anche in questo caso, aggiungo io, le proprietà legate alla fermentazione (bullimento) come principio chimico sono molto lontane, a venire, dall’epoca in cui visse Leonardo.
La lettera al castaldo Zanobi Boni venne poi riprodotta nelle “Raccolte Vinciane” (la prima fu del 1905). E solamente nella raccolta del 1934-1939[5] – Fascicoli XV-XVI si trova uno scritto di Ignazio Calvi, “Leonardo studioso di agricoltura”, in cui l’autore non asserì alcunché sull’autenticità della lettera affermando, al contrario, che se tale fosse stata (appunto vera), Leonardo avrebbe avuto un primato cronologico indiscutibile nel scoprire ciò che solo ai tempi a lui contemporanei (inizi del Novecento) erano conoscenze scientifiche ormai consolidate: la concimazione inorganica in generale e la calcitazione[6] in particolare.
Il condizionale d’obbligo.
Ignazio Calvi concluse così la disamina della presunta “lettera al Castaldo”: “In questo breve esame abbiamo usato spesso il condizionale perché sussiste qualche dubbio sull’autenticità della lettera: su questo punto l’Uzielli fa le sue debite riserve. Noi non potremmo dire su questo argomento alcunché di nuovo: il fatto della scrittura sinistrorsa non è senza dubbio sufficiente a convincere della sua autenticità. Comunque e d’altronde non vi sarebbero troppe ragioni di fondati dubbi, almeno per quanto attualmente se ne può dire”. Ignazio Calvi lasciò ai posteri il ragionevole dubbio: il condizionale d’uso e di dovere, le ipotesi scientifiche che potrebbero non avvalorare la contemporaneità leonardiana della lettera e, soltanto alla fine, uno spiraglio di apertura in contraddizione con le precauzioni sin lì asserite: “Comunque e d’altronde non vi sarebbero troppe ragioni di fondati dubbi, almeno per quanto attualmente se ne può dire”.
Un nuovo commento, che si rifà direttamente alle considerazioni di Uzielli, di Beltrami[7] e di Ignazio Calvi, ma con una nuova interpretazione di tipo stilistico, fu quello presentato da Carlo Pedretti nel suo commentario pubblicato nel 1977, in inglese, al secondo volume dei testi leonardiani raccolti ed editati da Jean Paul Richter a Londra nel 1883[8]. Carlo Pedretti reputava autentica la lettera, la cui compilazione attribuì, proprio perché scritta da sinistra a destra e non al contrario come avevano erroneamente attestato sia Uzielli che Beltrami che lo stesso Calvi, all’allievo ed esecutore testamentario Francesco Melzi: “On the basis of the literary style I would be inclined to accept it as authentic, but written by Melzi”.
In ultimo, nel volume curato da Alessandro Vezzosi[9], la “lettera al fattore” viene riportata con una didascalia che contiene la traduzione in inglese presente nel testo di John William Brown. Poco più sotto, nel commentario alla lettera [LDV VIN 013], Vezzosi riferisce quanto segue: “Lettera di Leonardo perduta, pubblicata dal Brown in “Life of Leonardo da Vinci” (Londra, 1828, p. 241): un certo Bordillon (così nel testo) l’avrebbe acquistata presso Firenze nel 1822”. Ancora una volta non si dice nulla di preciso sulla possibile attendibilità della lettera in questione.
Giunto a questo punto della ricerca e, non avendo avuto notizie di recenti ritrovamenti o di nuovi commenti, sarebbero molti i dubbi storici, epistemologici e letterari che continuano ad accompagnare la “lettera al fattore” di Leonardo da Vinci.
Uno storico, al pari di un detective del passato, di fronte a notizie incerte, contraddittorie e non sufficienti a descrivere pienamente un caso, deve obbligatoriamente fermarsi nella speranza che nuovi ritrovamenti, nuove fonti documentali, nuove scoperte gli diano la possibilità di giungere a una qualche conclusione, seppur provvisoria.
Immagini
La più famosa illustrazione di Sidney Paget pubblicata sulla rivista britannica The Strand Magazine Di Sidney Paget – Strand Magazine, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=932530
Francesco Melzi – Portrait of Leonardo Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=78645105
[1] Cfr. Alessandro Vezzosi, Il vino di Leonardo, Morgana Edizioni, Firenze 1991; Luca Maroni, Leonardo da Vinci e il vino, Sens, Formello (RM) 2019
[2] No VIII. Leonardo da Vinci’s Instruction to his Steward respecting the manner of making Wine. Da Milano a Zanobi Boni, mio castaldo, lì 9 de Xbre, 1515.
[3] Cfr. nota 1
[4] Luca Maroni, cit., Capitolo IV, Il metodo Leonardo, pagina 180
[5] Milano; s.e.; 1939 XI,426 pag. ill. 21 cm; Raccolta Vinciana XV-XVI; Brossura Note: Bibliotheca Leonardiana 2223; Stampa: tipografia Allegretti, MI
[6] Correzione della natura acida di un terreno agrario mediante somministrazione di calce sotto forma di calce viva o spenta o di carbonato di calcio o di marne calcaree. Da Treccani.it
[7] Luca Beltrami, Documenti e memorie riguardanti la vita e le opere di Leonardo da Vinci: in ordine cronologico, Fratelli Treves, Milano 1919
[8] The Literary Works of Leonardo Da Vinci compiled and edited from yhe original manuscript by Jaen Paul Richter Commentary by Carlo Pedretti, Volume two, University of California Press, Berkley and Los Angeles 1977
[9] Alessandro Vezzosi, Il vino di Leonardo, Morgana Edizioni, Firenze 1991