Terroir: la difficoltà di una definizione.

Aggiungo qui un altro pezzetto del mio lavoro.

Alcuni anni fa, nel 2003 per la precisione, l’agronomo francese, Emmanuelle Vaudour, pubblica un testo che in Francia assume il titolo di «Les Terroirs Viticoles – Définitions, Caractérisation Et Protection», e che in Italia viene tradotto e pubblicato da Edagricole nel 2005, a cui si omette l’aggettivo ‘viticolo’, forse per il fatto che da noi la parola terroir non può che essere abbinata alla viticoltura e nient’altro, «I terroir. Definizioni, caratterizzazione e protezione », un testo fondamentale per chiunque voglia addentrarsi nei meandri di un termine intraducibile in qualsiasi altra lingua, ma con un potere evocativo molto forte, ovunque. Dopo aver esplorato le definizioni correnti del termine ‘terroir’, l’autrice indaga la nozione di terroir in relazione a quattro elementi: l’agrocolturale, il terreno, l’identità e la pubblicità. Mentre nel primo caso il terroir agrocolturale si rapporta all’aspetto tecnologico ed agronomico del terroir, definendosi, pertanto, come un ‘terroir-materia’ che si fonda «sulla convinzione empirica secolare di una relazione stretta e oggettiva che unisce le qualità di una produzione agricola alle attitudini agronomiche di un ambiente coltivato », nel secondo caso, il ‘terroir-spazio’ risponde maggiormente alla nozione di territorialità, intesa come organizzazione spaziale all’interno di un ambiente fisico: «Il terroir rustico, paesano, più spesso delle dimensioni di un migliaio di ettari, si comporta come un universo alla Thünen : si organizza in effetti, sotto la costrizione della distanza; essendo quest’ultima costosa sia in termini di lavoro, di tempo, di soldi, si modella in zone concentriche successive .» Ma è con la terza e la quarta associazione che il concetto di terroir assume varianti semantiche legate a riferimenti socio-culturali e comunicativi. Il terroir identitario è per Vaudour il ‘terroir-coscienza’ e si riferisce «ai significati etnologici, sociologici e culturali dell’origine, in rapporto con la memoria e la coscienza identitaria. Esso si rapporta ai meandri della coscienza collettiva, di quelle rappresentazioni, credenze e sentimenti comuni alla media dei membri di una società, ai quali si aggiungono degli ideali collettivi elevati allo stato di valore .» Poi l’autrice si spinge sino ad evidenziare come il terroir rappresenti una delle impronte che definiscono i tratti comuni di un popolo e di cui esso ha coscienza: «Le caratteristiche del terroir sono viste come una delle cause dei tratti comuni di cui hanno coscienza i popoli. D’altro canto il terroir è associato ad una memoria, sia che si tratti della memoria del gusto sia di quella dei toponimi. La degustazione, che risveglia delle sensazioni memorizzate che definiscono una tipicità del prodotto, fa sovvenire al degustatore dei ricordi visivi, olfattivi e gustativi del suo passato e dei suoi luoghi. Questo fenomeno così deliziosamente raffigurato in M. Proust con l’esempio della madeleine (Du Côté de chez Swann, 1914), è stato tale anche per i vini rinomati. (…) la memoria del terroir funziona anche tramite l’evocazione del nome del luogo geografico ove è inserito. Quest’ultimo richiama spesso dei caratteri dell’ambiente (Les Pierres Perceés, Les Adrets, la Perrière, Les Estangs, La Gravière, Bel Air…), o dei cru leggendari (Petrus, la Tâche, Les Grenouilles, Clos de l’Écho, Cuolée de Serrant, Hermitage…). Il nome del terroir è intimamente legato alla coscienza collettiva che le società rurali hanno dello spazio che esse popolano .» In questa breve descrizione del terroir identitario emergono elementi diversi, che si rifanno a tradizioni storico-politiche e sociali in parte adiacenti: la coscienza collettiva di un popolo non può che rimandare a Durkheim, alle forme di solidarietà meccanica ed organica e agli sviluppi successivi sulle rappresentazioni sociali. Anche se, per il sociologo francese, i modelli di sviluppo delle coscienze collettive, nella loro forma mediata dei gruppi sono sicuramente più complessi ed articolati di quanto riportato qui sopra . L’autrice, in questo caso mischia e confonde, credo volutamente, coscienze individuali (il riferimento a Proust), coscienze collettive ‘locali’, le società rurali che abitano quei territori, e i popoli, che vivono in uno spazio comune nazionale. Identità e patriottismo sono il collante del fenomeno descritto da Vaudour, che per traslazione trasferisce il terroir alla coscienza di un popolo, contribuendo così a implementare, attraverso il linguaggio, i tasselli costitutivi, i tratti direbbe l’autrice, di una nazione: «A partire dal XVIII secolo la necessità di ridefinire i rapporti tra l’universale e il particolare, premessa indispensabile all’edificazione della nazioni, induce una trasformazione della legittimità culturale, il cui centro di gravità è oggetto di un triplice spostamento: storico, geografico e sociale. All’antichità greco-romana subentrano le antichità barbare; al mondo mediterraneo l’Europa del nord, ai salotti della élite più raffinata le capanne rustiche. Viene formulata una nuova teoria della cultura, che permette di fare del nazionale il principio creatore della modernità .» Sono le stesse riflessioni che fa Marco d’Eramo sul concetto di nazione nella prefazione al libro di Benedict Anderson «(…) Ma allora quando è che si è imposto alle nostre società il concetto di nazione? Quando abbiamo cominciato a pensare che le nazioni fossero i soggetti della storia? Tanto che oggi le organizzazioni mondiali si chiamano Società delle Nazioni o Nazioni Unite. [Non a caso l’idea di nazione si forgia in contemporanea con il nascere dello storicismo e con l’affermarsi della teoria dei soggetti contro la teoria delle cause: il mondo è prodotto dall’azione di un soggetto, non generato come effetto da una causa.] Già la domanda sul ‘quando’ suona blasfema a un patriota. Per lui la nazione è qualcosa di originario, un retaggio primordiale che forse era stato dimenticato, sepolto nella memoria e solo di recente è riaffiorato, identità ritrovata. Siamo di fronte a una duplicità: la nazione è stata pensata, creata di recente, ma essa pensa se stessa come antichissima. I nazionalismi sono nati tra la fine del ’700 e l’inizio dell’800, ma per quell’epoca parliamo di risveglio dei nazionalismi, come se fossero emersi da un lungo sonno. Ci sembra che le nazioni siano sempre esistite. Ma così pensando cadiamo nella trappola che la nazione stessa ci tende: ‘Il nazionalismo non è il risveglio delle nazioni all’autocoscienza: esso inventa nazioni là dove esse non esistono’, afferma Ernest Gellner. Non ci accorgiamo che un modo tipico con cui la modernità produce il domani è quello di costituirsi uno ieri. Plasmare il nuovo inventando una tradizione. Si crea una comunità inedita immaginando di appartenere a una remota e dimenticata. Un po’ come i musulmani neri costruiscono la propria identità elaborando un’originaria nazione perduta e ritrovata dell’Islam, e come i mormoni pensano di essere discendenti di una perduta e ritrovata tribù d’Israele. Una linea di pensiero che indaga in questa direzione è rintracciabile, se pur in forma frammentaria, nei Quaderni dal carcere dove, parlando de La storia come ‘biografia’ nazionale, Antonio Gramsci osserva: ‘Si presuppone che ciò che si desidera sia sempre esistito e non possa affermarsi e manifestarsi apertamente per l’intervento di forze esterne o perché le virtù intime erano ‘addormentate’.» E poi l’ultimo dei terroir, quello pubblicitario, definito come ‘terroir-slogan’, «un vettore di comunicazione a forte valore simbolico». E’ il terroir del marketing del vino, ma anche quello del consumatore, che fa propri gli elementi della comunicazione pubblicitaria, dove il termine viene ancorato a valori sociali come quelli comunitari, rurali ed ecologici: «Terroir may offer distinct points of differentiation when marketing wine – particularly offering symbolic meaning around authenticity, and a sense of ‘genuine’ rather than industrial wine. However, as also noted, the concept is shrouded in ambiguity; it is clear that different regions in Europe may have varying interpretations of the term as a viticultural context, and when overlain with ideas of culture, identity and appellation the whole notion becomes yet more complex. This paper has attempted to offer a model of these interacting aspects of terroir which, whilst hardly resolving all the ambiguities, does try to offer some clarity – with the competing environmental, metaphysical and marketing interpretations coalescing around the sense of terroir as identity .»