Famose, quanto dure, sono poi le recensioni del bottigliere di Papa Paolo III Farnese (1534-1559), Sante Lancerio: in 25 anni egli ha modo di apprezzare numerosi vini che, secondo le stagioni, le ore del giorno e i numerosi impegni ufficiali e non allietano la tavola del Pontefice. I gusti del Papa Farnese, che vive fino all’età di 82 anni, sono giunti a noi grazie al suo sommelier, che ci ha lasciato gli appunti in cui descrive i 53 vini ‘giudicati da Papa Paolo III e dal suo bottigliere Sante Lancerio’. Come sommelier di corte Sante Lancerio segue il Papa in tutti i suoi viaggi, selezionando i vini da servire in tavola dopo averne accertato la qualità e si preoccupa di controllare tutte le bottiglie che nobili e potenti regalano al Pontefice. I giudizi di Sante Lancerio sono netti, ponendo agli estremi della personale scala di valutazione i vini per ‘signori’ e quelli per ‘famigli’. Tutte queste esperienze confluiscono poi in una lettera, indirizzata al cardinale Guido Ascanio Sforza, della quale abbiamo testimonianza. Nella terminologia di Sante Lancerio, ricca e precisa, riconosciamo molti termini del gergo dei sommelier e degli enologi contemporanei. Per definire il gusto egli impiega parole come ‘tondo, grasso, asciutto, fumoso, possente, forte, maturo’. Per il colore utilizza ‘incerato, carico, verdeggiante, dorato’ e così via. È sempre Sante Lancerio a testimoniarci che nel Rinascimento si comincia a manifestare, seppur sommariamente, la ricerca dei possibili abbinamenti tra vini e cibi. Nei menù si va a designare una progressione che va dai vini bianchi leggeri per gli inizi del pasto, ai vini forti o inebrianti per i dessert, passando attraverso i rossi degli arrosti. Come nel Medioevo chiude il pranzo l’Ippocrasso , vino aromatizzato alle spezie, considerato anche un ricostituente per malati e puerpere. Riporto qui alcune delle sue recensioni di vini: «Greco d’Ischia: È il primo vino nuovo che viene a Roma. Tali vini sono molto lapposi, et quando si trovano che non siano così lapposi, è un delicato bere a tutto pasto. Ben è vero che malvolentieri si chiariscono, se non si fa concia di bruccioli di legname di nocciuole. A volere conoscere la sua bontà, bisogna che prima abbia colore incerato, sia dolce et mordente et non sia lapposo. Et certo è un delicato bere, sì per Signori quanto per famiglia.
Greco di S. Gemigniano: È una perfetta bevanda da Signori; et è un gran peccato che questo luogo non ne faccia assai. S. Gemigniano è una terra grandissima nello stato fiorentino. Di questo vino ogni anno, nell’autunno, ne facevano portare in Roma, a some con grandissime fiasche, i Reverenti Santiquattro di casa Pucci e li donavano a S.S. Il vino ha in sé perfettione; in esso colore, odore, sapore, ma, volendo conoscere il buono non vuole essere agrestino, anzi avere del cotogno, come il Trebbiano, et sia maturo, pastoso et odorifero. In questo luogo ci sono anche di buonissime vernacciuole e di questa bevanda gustava molto S.S. et faceva honore al luogo.
Malvagia: La malvagia buona viene a Roma di Candia. Di Schiavonia ne viene la dolce, tonda et garba. Se si vuole conoscere la meglio bisogna che non sia fumosa né matrosa, ma che sia di colore dorato perché, se altrimenti fosse, sarebbe grassa et il beverla di continuo farebbe alterare il fegato. De le tre sorti usava Sua Santità, la dolce alle gran tramontane a fare un poco di zuppa, la tonda per nodrimento del corpo beveva, et della garba usava gargarizzarsi per rosicare la flemma et collera.
Moscatello: Il vino moscatello viene all’alma Roma da più provincie, et per mare et per terra, ma il meglio è quello che viene dalla riviera di Genova, da una villa nomata Taglia. A volere conoscere la loro perfetta bontà, bisogna non sia di colore acceso, ma di colore dorato, non fumoso et troppo dolce, ma amabile et habbia del cotognino et non sia agrestino….”