Immanuel Kant nel ritratto di Johann Gottlieb Becker, 1768
Ogni forma di classificazione attribuita al vino si fa forza della sommatoria di punteggi attribuiti a macro-aree sensoriali, a loro volta scomposte in singoli fattori analitici: limpidezza, luminosità, intensità, armonia, franchezza, persistenza…. L’ammontare totale delle singole voci, al massimo della sua stima numerica, viene espresso nel rapporto numerico di 100/100.
Bene, adesso è venuto il momento di chiedere un aiutino a Kant e alla sua pletora di giudizi di sintesi, a priori, a posteriori e via cantando.
Procedendo per esclusione, si può affermare con buona certezza che il punteggio attribuito ad un vino non appartiene ai giudizi analitici: essi sono a priori, non dettati dall’esperienza, nel nostro caso l’assaggio; sono universali e necessari. Il predicato può essere ricavabile dal soggetto stesso: ad esempio “il vino è liquido”. Liquido è una proprietà del soggetto e non si disgiunge da esso. Questi giudizi a priori sono purtroppo assai infecondi perché non aggiungono alcuna conoscenza al soggetto analizzato.
Il punteggio attribuito ad un vino potrebbe invece appartenere ai giudizi sintetici che, come affermò il sommo maestro, “aggiungono al concetto del soggetto un predicato, che in quello non era affatto pensato, e che non avrebbe potuto esser ricavato da nessuna anatomia di esso”. Sono giudizi esperienziali, a posteriori, che non godono né di necessità né di universalità. Ma anche questa categoria a se stante non mi convince del tutto perché si fonda su di un razionalismo positivista del tutto estraneo alla formazione della valutazione di un vino. Pur sapendo che i giudizi sperimentali, come tali, sono tutti sintetici, è come se si volesse assolutizzare un’esperienza sensoriale e renderla, per ciò stessa, oggettiva, quindi inoppugnabile, nella sua costruzione conoscitiva ed esperienziale.
Quello che mi tocca fare è uscire dal concetto A (vino) per conoscerne un altro B (punteggio o scala di valore) legato al primo e congiunto con esso. Perché quello che succede è proprio questo fattaccio: il punteggio si smarca dal suo dato esperienziale per divenire un assoluto categorico e quindi un attributo del vino stesso. Il vino non viene e più disgiunto dalla classificazione di autorità che gli è stata attribuita. Un vino è il suo punteggio. Questi, dunque, come una qualsiasi altra attribuzione non analitica, ma che aggiunge conoscenza del soggetto si fonda su due direttrici apparentemente, e solo superficialmente, in contraddizione: un giudizio a priori, che impone universalità e necessità e un giudizio di sintesi fondato sull’esperienza. Ci troviamo di fronte ad una categoria che ha scatenato lunghissimi parapiglia matematico-filosofici: il giudizio sintetico a priori.
Siamo, dunque, alla quadratura del cerchio e non distanti dal motto che prevede la simultaneità della botte piena e della moglie ubriaca: è la sintesi tra empirismo e forma (razionale ed innata). Il primo viene mitigato e condotto a ragione dall’insieme delle modalità stabili attraverso cui la mente umana organizza e regola tali impressioni. In questo modo è la nostra mente a modellare la realtà attraverso le forme con le quali la percepisce. Possiamo pensare, per dirla alla Kant, che nel concetto del soggetto (10+30+60) non è contenuto in modo immediatamente evidente il concetto del predicato (100). Ma sentiamo direttamente l’intervistato, il ragazzo prodigio di Königsberg: “La proposizione aritmetica, quindi, è sempre sintetica; il che diventa tanto più chiaro quanto più grandi sono i numeri considerati, perché allora salta agli occhi che, per quanto girassimo e rigirassimo i nostri concetti in qualunque modo ci venga in mente, non potremmo mai, servendoci della semplice scomposizione dei nostri concetti, trovare la somma senza chiedere aiuto all’intuizione”.
Possiamo solo aggiungere, a nostro favore, che l’intuito non ci manca.