Eno-pentitismo.

“Se pensi che possa cambiare il mondo ti sbagli alla grande,

è già tanto se mi cambio le mutande[1]

Caparezza, Abiura di me.

Parimenti alle prese di posizione pubbliche, definitive e incontrovertibili, ad opera di soggetti rilevanti nella comunicazione eno-gastronomica contro i vini biologici, biodinamici, naturali, veristi… che, tempo addietro, ebbi a qualificare come forme di riposizionamento politico e di riaffermazione d’autorità veritativa nel vasto campo del giornalismo accreditato, oggi si affacciano qua e là nel web delle forme di abiura e di disconoscimento del proprio passato vinicolo.

I passaggi sono mediamente i seguenti:

1) Si ammette di aver abbracciato, sotto spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre, l’ideologia del vino naturista, puzzone e volatile come un condor peruviano.

2) A seguito di ciò, si ammette di aver peccato e tremendamente peccato in pensieri, avendo rilevato, in contraddizione con la propria vista, odorato e palato la bontà di tali vini; in parole, avendo sostenuto in pubbliche discussioni la finezza di tali vini; in opere, avendo comprato e indotto a comprare tali vini; in omissioni, avendo mancato di denunciare le brutture dei suddetti vini.

3) Ci si dissocia dal proprio passato rendendo piena confessione di tutti i reati commessi e ci si adopera per attenuare le conseguenze dannose o pericolose di questi reati.

4) Si abbraccia il nuovo umanesimo vinicolo, trasversale, equilibrato e soprattutto laico.

Alcuni tipologie di vini ci indicano una strada: sta a noi decidere come bercela.

Il vino sublime.

Nel nostro incedere degustativo incappiamo, talvolta, in vini molto buoni; in altri casi, in vini illustri; talora, in vini encomiabili; più spesso, in vini irreprensibili. Eccezionalmente, nel vino sublime.

Il vino sublime[1] trascina i bevitori non alla persuasione, ma all’estasi: perché ciò che è meraviglioso s’accompagna sempre a un senso di smarrimento, e prevale su ciò che è solo convincente o grazioso, dato che la persuasione in genere è alla nostra portata, mentre esso, conferendo all’assaggio un potere e una forza invincibile, sovrasta qualunque bevitore.

Il vino sublime possiede cinque proprietà, di cui le prime due sono innate. Le altre tre possono essere acquisite con la tecnica.

  1. La capacità di grandi concezioni.
  2. Una passione violenta ed ispirata.
  3. Una particolare costruzione della struttura in movimento, che deve essere dotata di άρμονία e di συμμετρìα (accordo e proporzionalità).
  4. Uno stile nobile.
  5. Una disposizione solenne ed elevata delle sue componenti.

Il vino sublime non rimane mai soltanto al momento dell’assaggio, ma impone una lunga e duratura meditazione.

La costruzione della trama e la scaltrezza dell’intreccio traspaiono, alla fine, non da una o da due parti, ma dall’insieme dell’opera: il sublime, che appare al momento giusto, sconvolge tutta la materia, come un fulmine, e dispiega nella sua pienezza tutta la potenza del suolo, dell’aria, della luce, della linfa, della vite e del vignaiolo.

Il  vino sublime è un vino della nostra memoria.


[1] Ispirato al Trattato del Sublime, di un ignoto autore, comparso presumibilmente nel I secolo d.C. Edizione consultata: Giulio Guidorizzi (a cura di), Anonimo, Il Sublime, in Trattatisti Greci, Classici Mondadori, Milano 2008, pp. 234 – 397