Le centottantacinque qualità diverse di vino: Naturalis Historiae di Plinio il Vecchio.

Di Pliny the Elder – 2d copy, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=70241492

«Due sono i liquidi maggiormente graditi al corpo umano: per l’uso interno il vino, per quello esterno l’olio, entrambi prodotti importantissimi degli alberi; ma l’olio è necessario, né l’uomo ha lesinato per lui l’impegno. Quanto tuttavia egli sia stato più ingegnoso per il bere, si evincerà dal fatto che ha creato centottantacinque qualità diverse di vino, che diventano quasi il doppio, tenendo conto delle varietà, mentre in numero molto più basso sono le qualità dell’olio, di cui parleremo nel libro seguente[1].»

Così si conclude il XIV Libro, dedicato alla Vite ed al Vino, con una comparazione con l’olio, argomento trattato nel libro successivo, ma che inizialmente viene pensato come libro unico, poiché molte delle fonti utilizzate per i due testi sono coincidenti.

Il Libro XIV, dopo un attacco polemico contro la trascuratezza dei moderni, inizia a menzionare i vitigni esteri non senza prima aver fatto riferimento alla supremazia italiana nella produzione: «Da dove potremmo meglio cominciare se non dalla vite, rispetto alla quale l’Italia ha una supremazia così incontestata, da dar l’impressione di aver superato, con questa sola risorsa, le ricchezze di ogni altro paese, persino di quelli che producono profumo? Del resto, non c’è al mondo delizia maggiore del profumo della vite in fiore[2].»

Ma quanti tipi di uve esistono per Plinio? «Innumerevoli ed infinite…Né si potranno citare tutte, ma solo le più celebri, perché ne esistono quasi tante, quanti sono i terreni: per questo motivo basterà aver segnalato le qualità delle viti più note o quelle che, per qualche particolarità sono fuori dell’ordinario[3].»

Interessante notare come l’attribuzione della varietà del vitigno rispetto al terreno, conferisca a quest’ultimo, come in tutte le moderne teorie del terroir, la capacità di dare forma e sostanza alla vite che cresce su di esso ed al vino che da esse è generato.

Al primo posto dell’elenco delle viti eccellenti ci sono, come già per Catone, Varrone, Columella ed Isidoro, le viti Aminee «per la robustezza del loro vino, che prende corpo sempre di più con l’invecchiamento[4].»

A differenza degli autori classici riportati precedentemente, i curatori del libro di Plinio, fanno risalire il nome Aminea ad una città campana, per cui attribuiscono, così come fa Plinio successivamente, ai vitigni menzionati come migliori un’origine prettamente italica: «Le viti Aminee, qui ricordate in apertura dell’elenco per la qualità del loro vino, sono le più famose dell’antichità e prendono il nome da Aminea, una località campana di incerta identificazione, che produceva questo famoso vino[5].»

Alle uve Aminee, per importanza, seguono le Nomentane e poi le viti Apiane, già viste in precedenza con Columella. Come sostengono i curatori del testo di Plinio, molte delle informazioni contenute in Naturalis Historiae sono debitrici di Catone, Columella e Dioscoride: «Il primo, più volte espressamente citato, è l’auctoritas antica, il modello di saggia conduzione agricola che incarna gli ideali delle nostalgie passatiste dell’autore. Non è quindi una semplice fonte, ma, soprattutto, un orientamento ideologico e un esempio insuperabile da cui si ricavano precetti ‘vicini all’origine delle cose’[6]. Anche Columella è un punto di riferimento importante: rispetto a questa fonte Plinio non rivela grosse divergenze – come invece da taluni si ritiene – distanziandosene solo per alcune varianti grafiche e per un ordine non sempre coincidente delle qualità d’uva citate. Con Dioscoride, poi, sono preponderanti le convergenze, piuttosto solide per tutta la sezione comprendente i paragrafi 98 – 112; un solo caso clamoroso di divergenza è costituito dalle notizie sul myrtidanum[7]. Oltre a queste, Plinio tiene ovviamente presenti altre opere specialistiche sia greche (Il Teofrasto dell’Historia e del Causis plantarum) che romane (Varrone, le Georgiche virgiliane, Celso, le monografie di Attico e Grecino, la traduzione di Magone fatta da Decimo Silano)[8].»

Il Libro XIV prosegue  con l’enumerazione di vini italici, gallici, spagnoli (53 – 61), di quelli greci, asiatici ed egiziani (73-76), di quelli trattati con acqua marina, quelli dolci, i vini passiti e i deuteria[9] sino a giungere ad un epilogo contro l’ubriachezza e le sue conseguenze (137- 149).

Ma è nel libro XVII che Plinio affronta alcuni temi legati al rapporto tra vite, tipologia del terreno, esposizione solare, clima: informazioni preziose che riguardano pratiche viticole e nozioni consolidate e che rimandano alla formazione completa dei discorsi intorno all’origine dei vini e come ricordato in precedenza a proposito delle uve retiche, dalla loro irriconoscibilità se piantate altrove.

Anche in questo caso i riferimenti di Plinio sono rivolti a quegli autori della tradizione come Virgilio, anche se messo in discussione, e Columella: «Virgilio disapprova l’esposizione ad occidente, altri invece la preferiscono a quella a oriente; mi accorgo che i più approvano l’esposizione a mezzogiorno[10], ma non credo che si possa indicare al riguardo una regola fissa. Bisogna considerare con scrupolosa attenzione la natura del terreno, i tratti distintivi del luogo, le caratteristiche di ciascun clima (…) Quando Virgilio condanna l’esposizione ad occidente, sembra non lasciare spazio a dubbi nemmeno riguardo il settentrione: eppure, nell’Italia cisalpina, le vigne sono esposte in gran parte così, ed è accertato che non ne esistono di più fertili. È molto importante tenere conto anche dei venti. Nella provincia Narbonese, in Liguria e in una parte dell’Etruria, è considerato un atto di imperizia piantare le viti contro il circio (vento di nord-ovest), di saggezza, invece, fare in modo che ricevano questo vento obliquamente (…) Certi subordinano il cielo alla terra, esponendo a oriente e settentrione le piantagioni situate in terreni secchi, a mezzogiorno quelle dei terreni umidi. Ricavano, inoltre, i criteri della scelta delle viti stesse, piantando quelle precoci nei luoghi freddi, in modo che la loro maturazione preceda il gelo, gli alberi da frutto e le viti che odiano la rugiada verso levante, perché subito la dissolva il sole, le piante che l’amano anche verso occidente o anche verso settentrione, perché ne godano più a lungo[11].»

Poi Plinio dedica lunghe pagine alla terra[12] ed ai terreni[13] adatti alla coltivazione delle piante tra cui la vite. Anche qui il criterio adottato da Plinio, che ripercorre ampiamente i suoi predecessori, è quello di marcare la variabilità delle situazioni, sottolineando la necessità di studiare e di conoscere la migliore condizione delle viti i rapporto alle altre variabili, che agiscono tra loro come interdipendenti: «Per lo più, infatti, la medesima terra non è adatta agli alberi e ai cereali, e la terra nera del tipo che si trova in Campania non è dovunque la migliore per le viti, come non lo è quella che sprigiona leggere nebbioline, né quella rossa, decantata da molti. Per la vite antepongo la creta del territorio di Alba Pompea (l’attuale Alba in Piemonte) e l’argilla a tutti gli altri tipi di terra adatti a tale coltura, sebbene siano molto grasse. È un’eccezione che si fa per tale tipo di pianta. Viceversa la sabbia bianca del territorio del Ticino, quella nera che si trova da molte parti, come pure quella rossa, anche mescolate  a una terra grassa sono infeconde. (…) Ogni cosa cela nel profondo i suoi segreti, e sta a ciascuno indagarli con la propria intelligenza[14].»

 

 

[1]       Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C), Naturalis Histroriae, Libro XIV (i  primi 10 libri vengono pubblicati nel 77 d. C.), si compone di 37 libri, Einaudi, Torino 1984, III., pag. 271

[2]       Plinio, cit.,  XIV 2, pp. 184,185

[3]       Ivi, XIV 4

[4]       Plinio, cit. XIV 4, pag. 191

[5]       Ivi, nota 21

[6]       «Più antichi precetti in lingua latina sull’argomento non esistono: tanto vicini noi siamo, con essi, all’origine delle cose.» Plinio, cit. XIV 5, pag. 209

[7]       Per Plinio è il vino ottenuto dal mirto selvatico, facendo cuocere nel mosto salato dei rami giovani con le loro foglie.(XIV 19, pag. 245) Per Dioscoride è solo un’escrescenza del ramo di mirto in De materia medica, cit. I 112

[8]       Andrea Aragosti (traduzione a cura di), in Plinio, cit. pag. 179

[9]       Secondari

[10]     «Il meglio per me è insegnare che nei luoghi freddi i vigneti vanno esposti a mezzogiorno, in quelli tiepidi a oriente, purché non siano danneggiati dai venti sud-orientali, come sulla spiaggia marittima della Betica (attuale Andalusia). Se poi le regioni saranno esposte ai suddetti venti, sarà meglio affidare le vigne al soffio dell’aquilone (vento di tramontana proveniente da nord, o nord-est, solitamente impetuoso e freddo) o del favonio (detto anche Föhn, vento caldo e secco). Certo nelle zone a clima molto caldo, come l’Egitto e la Numidia, l’unica esposizione possibile è a settentrione.» Columella, cit. Libro III 12, pag. 225

[11]     Plinio, cit. XVII 2, pag. 531

[12]     Terra dal significato pedologico come varietà dei suoli. Terra: terre rosse (argillose); terre brune (da suoli neutri a moderatamente acidi), terre fini (sabbia, limo, argilla e humus). In agronomia il materiale costitutivo del terreno in quanto contiene degli elementi adatti alla nutrizione delle piante: terra di piano o di pianura, pugno di terra ecc. Vocabolario Treccani

[13]     Composizione di determinati suoli, si riferisce anche alla loro estensione, alla conformazione ed alle caratteristiche geografiche (pianeggiante, ondulato, collinoso, montuoso…) e agronomiche (boschivo, prativo, ortivo, coltivato, incolto…)

[14]     Plinio, cit. XVII 3, pp. 531 – 535