L’uva puttanella.

scotellaro“L’uva puttanella[1]” è il romanzo autobiografico incompiuto di Rocco Scotellaro, morto a soli 30 anni nel 1953, che sarà pubblicato postumo da Laterza con una prefazione di Carlo Levi nel 1955. Rocco Scotellaro, figlio di un calzolaio e di una levatrice, sindaco a soli 23 anni di Tricarico, in Lucania, e militante del Partito socialista di unità proletaria è uno strenuo difensore del bracciantato agricolo e proletario della sua terra: divide i pasti e i pochi soldi con gente che sta peggio di lui. I suoi avversari politici lo fanno arrestare con false accuse di truffa e di peculato: viene e rilasciato dopo 45 giorni di carcere a Matera per infondatezza  delle stesse, addotte per finalità politiche: «I versi di Scotellaro erano fortemente legati alla loro realtà. Non avevano da parlare del movimento contadino quale poteva essere in teoria, ma dei limiti e delle possibilità che in pratica esprimeva. Alla rivolta del brigante, come alla tessera della Dc o alla scelta dell’emigrazione, Scotellaro aveva da opporre niente meno che il partito, l’organizzazione, il socialismo. Per questo nelle sue poesie non ci sono eroi, ma solo uomini che hanno paura di morire e nondimeno muoiono (Due eroi) che sanno che la rivoluzione non ammette pace, e tuttavia la cercano (Mio padre, Di noi fissi). È la paura e l’attrazione per la perdita del proprio mondo (L’amica di città, Salmo alla casa e all’emigrante, Dichiarazione d’amore ad una straniera, Lo scoglio di Positano) perdita che resta  necessaria in vista di quell’alba, che Scotellaro era sicuro di scorgere in tutto ciò che lo circondava[2].» L’uva puttanella è una metafora dell’Italia meridionale e contadina  di fine anni ’40: fatta di acini piccoli, irregolari, ma maturi, che danno un po’ di succo. Un’uva irregolare, anarchica, anti-organizzatrice, come l’ umanità da cui proviene: «L’ordine che non c’è non lo troverete come appunto è nel grappolo d’uva che gli acini sono di diversa grandezza anche a volere usare la più accurata sgramolatura. Questi sono acini piccoli, aspireni, seppure maturi che andranno egualmente nelle tina del mosto il giorno della vendemmia. Così il mio paese fa parte dell’Italia. Io e il mio paese meridionale siamo l’uva puttanella, piccola e matura nel grappolo per dare il poco succo che abbiamo». «Quel disordine patologico dell’Uva», commenta Muscetta, «egli lo assumeva a simbolo, ideale e vanto della sua anarchia di artista, di disprezzo per ogni principio di organizzazione…fino a definire la cultura dell’uva puttanella come una cultura marcata da anarchismo, immaturità, vagheggiamento narcisistico[3]». Briganti_1862_from_BisacciaQui una poesia bellissima, una “marsigliese”come  ebbe a definirla Carlo Levi, dove il vino, nel tempo momentaneo della festa, solleva, accomuna, stempera, ma non salva. E’ un desiderio momentaneo di leggerezza, che sospende il percorso di un sentiero da cui non si può tornare indietro. La strada è stata  tracciata verso una nuova alba.

 

 

 

Sempre nuova è l’alba. (1948)

Non gridatemi più dentro,

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!

che all’ilare tempo della sera

s’acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna

l’oasi verde della triste speranza

lindo conserva un guanciale di pietra…

Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova,

perché lungo il perire dei tempi

l’alba è nuova, è nuova.

 


[1] Rocco Scotellaro, L’uva puttanella. Contadini del sud. (prefazione di Carlo Levi), Laterza, Bari 1964

[2] Alessandrea Reccia, La poesia di Scotellaro, in “L’ospite ingrato”. Rivista online del Centro Studi Franco Fortini http://www.ospiteingrato.org/Sezioni/Scrittura_Lettura/Scotellaro_Reccia.html

[3] Carlo Muscetta, comunista, è un grande amico di Rocco Scotellaro. Tra loro vi è uno scambio epistolare che durò diversi anni, dal 2 maggio 1949 al 6 febbraio 1952, ora raccolto in “Rocco Scotellaro e la cultura dell’Uva Puttanella” (Valverde 2010). Nel 1954, sulla rivista “Società” diretta da Gastone Manacorda e dallo stesso Muscetta, compare un saggio di quest’ultimo in memoria dell’amico Scotellaro prematuramente scomparso. Muscetta riporta qui la definizione che lo Scotellaro dà di “uva puttanella”.