Grappa. Etimologie plausibili di un nome controverso

Il laboratorio dell’Alchimista di Giovanni Stradano (1570), Studiolo di Francesco I nel Palazzo Vecchio a Firenze – http://www.paleopatologia.it/articoli/aticolo.php?recordID=21, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1137288

Perdersi nell’etimologia di una parola: l’ho fatto più volte e, credo, che più volte lo rifarò. Ossessioni e compulsioni e non solo delle parole: ogni seguito personale ricade inevitabilmente in uno strascico linguistico. Leggo, a tal proposito, non di compulsione ma di etimologia, una cosa curiosa: “Diciamo senz’altro e preliminarmente che il nome di grappa si apparenta con quelli che per secoli contrassegnarono, nei registri delle ‘ruote’, i nati illegittimi; e ogni sforzo, sia pur disinteressato, di mutarlo, nobilitando il prodotto, è caduto nel vuoto”. In quella meravigliosa serie di volumi che l’editore Canesi dedicò a vini di diversa fattura e provenienza nazionale, uno di essi veniva consacrato alla grappa, alla sua storia e al costume italiano. L’autore era Ugo Martegani e l’anno il 1968. Grappa, quindi, sinonimo di prodotto popolare e tale sarebbe dovuta rimanere nei secoli dei secoli. Amen. Ho cercato in lungo e in largo, ma apparentamenti così arditi non ne ho più trovati. Ma si sa che “là dove le cose iniziano la loro storia, quel che si trova non è l’identità ancora preservata della loro origine, ma la discordia delle altre cose, il disparato” (M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere, Einaudi, Torino 1977)

La ruota degli esposti, dei bambini abbandonati, e dei registri con cui si tenevano in conto notizie e dettagli sugli stessi, è antichissima: la prima documentata risale al 1188 nell’ospedale dei Canonici di Marsiglia. Ma la grappa? Probabilmente l’autore si riferisce al fatto che la ruota stessa fosse sostenuta da una grappa in ferro, ovvero da una spranghetta di metallo ripiegata agli estremi, che veniva già ampiamente utilizzata nell’antica Roma per collegare conci di pietra, legnami, oppure a fissare ai muri rivestimenti di pietra o di marmo o telai di porte e finestre. Altra ragione non me la sono data: in quella spiegazione ravvedo, comunque, il tentativo di non permettere in alcun modo di sganciare il prezioso distillato di vinacce dalla sua origine sociale.

Poi, naturalmente ci sono altre varianti, che più che condurre a certezze etimologiche, disperdono le possibilità di arrivare al dunque in mille rivoli diversi. Figlia di una radice germanica, nelle forme di krap, krapf o kraf, vari dizionari sono concordi nel ricondurre l’etimo al longobardo *krapfo, ovvero ‘uncino’, che corrisponde al gotico krappa. “Cercando grappa, le varie fonti consultate oltre al DELI, tra le quali l’Etimologico di Ottorino Pianigiani e il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini riconducono la parola al longobardo medievale *krapfa e graffa al germanico krappa. Dunque, anche se nel tedesco odierno il termine krapfen non è più in uso nel significato di ‘uncino’ o ‘graffa’, la parentela tra il nome della leccornia e la parola graffa è verificata etimologicamente nell’Althochdeutsch (antico alto tedesco) e nel Mittelhochdeutsch (medio alto tedesco), e giustificata dalla forma originaria del dolcetto” (Cfr. https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/di-krapfen-e-graffe/740). Dolcetto. Ma di quale dolcetto si parla? Del Krapfen naturalmente! Johann Christoph Adelung scrisse nel 1796 che il Krapfen è un tipo di focaccia rotonda di diverse specie, sia ripiena sia non ripiena, che viene cotta o nello strutto o in forno. Particolare per la sua forma il nome era tale o per la gonfiezza esterna o per il bordo a punte con le estremità le estremità alternativamente in su o in giù tale da dargli una certa somiglianza con gli uncini .

L’uncino, per sua natura, afferra così come fanno quelle parole la cui radice, in quasi tutte le lingue romanze, suona in grap, grapf, graf. E l’italiano, ad esempio, risponde in graspo, rappa e raspo. Ma, se volessimo andare avanti, in un dialetto a me familiare, il piemontese (Levi, Attilio. Dizionario etimologico del dialetto piemontese. Torino : G. B. Paravia & C., 1927), il gràfi è quell’uncino fatto specialmente per pescare velocemente il secchio nel pozzo. E così ci stiamo avvicinando, quasi miracolosamente, a quella graffa che sosteneva la ruota degli esposti. O a quelle ciliegie duracine, grafiòn, sempre in piemontese antico, che pare fossero appese ai rami, pure loro, da degli uncini. Similmente agli acini d’uva, avvinghiati al raspo o graspo, dir si voglia, tanto da dar vita ad una vera e propria rappa, il grappolo che dall’altra parte delle Alpi, prende il nome di râpe. Ma molto più a sud, nella lontana Sicilia, che pur qualche accomodamento con i Francesi dovettero averlo, una “rappa d’api” stava a significare uno sciame talmente compatto da sembrare un grappolo d’uva (Vocabolario siciliano etimologico, italiano, e latino, dell’abate Michele Pasqualino da Palermo, nobile barese, accademico della Crusca, tomo quarto, Palermo 1790). Ora, finalmente, fa la sua comparsa l’uva, senza la cui presenza, in un modo o nell’altro, nessuna grappa degna di questo nome potrebbe prendere vita.