“Non possiamo definire nulla con assoluta precisione.
Se proviamo a farlo, ci coglie quella paralisi di pensiero che è tipica dei filosofi…
Uno dice all’altro: “non sai di cosa stai parlando”.
E l’ altro risponde:
“Che cosa intendi per parlare?
Che cosa intendi per sapere?
Che cosa intendi per cosa?”
Richard Feynman
“Se è vero dire che un vino è bianco o non è bianco, è necessario che sia bianco o non bianco; e se è bianco o non bianco, era vero asserirlo o negarlo. Se bianco (o il non bianco) non è, si dice il falso; e se si dice il falso, non è. Di conseguenza, è necessario che l’affermazione o la negazione sia vera. Ne segue che nulla è o sta accadendo, sarà o non sarà, per caso o fortuitamente, ma ogni cosa sarà o non sarà necessariamente e non fortuitamente (dice infatti il vero o chi asserisce o chi nega).
(…)Vediamo che ciò che sarà ha origine sia dal deliberare che dall’agire, e che in generale, nelle cose che non sono sempre in atto c’è la possibilità di essere e di non essere; qui le possibilità sono aperte, sia l’essere che il non essere, e di conseguenza sia l’aver luogo che il non aver luogo. Molte sono le cose che ci è manifesto che stanno in questo modo. Per esempio, è possibile per questo vino essere fatto da un enologo, e tuttavia non verrà fatto da un enologo se sarà stato prodotto prima. Ma, ugualmente anche il suo non essere fatto da un enologo è possibile, in quanto non potrebbe accadere che sia stato fatto prima a meno che il suo non essere stato prodotto non sia possibile. Di conseguenza, è lo stesso per tutti gli altri eventi di cui si parla nei termini di questo tipo di possibilità. Chiaramente, dunque, non ogni cosa è o accade di necessità; alcune cose accadono fortuitamente, e per nulla di più l’affermazione o la negazione è vera…[1]” Nel capitolo 9 di “Sull’interpretazione” Aristotele presenta un argomento contro il principio di bivalenza, ovvero la tesi secondo cui ogni enunciato (assertivo) è vero o falso. Diversamente, per quanto riguarda il futuro, ogni asserzione non necessaria si presuppone possibilmente vera o possibilmente falsa, dove per possibile si intende potenziale. Si apre qui la disanima degli enunciati contingenti che aprono al dilemma dei futuri contingenti[2]. Se il primo principio analizzato è quello della bivalenza, il secondo è quello del terzo escluso (tertium non datur), mentre il terzo ed ultimo riguarda il principio di non contraddizione: tra due enunciati contraddittori non può esservi un medio.
Il Medioevo (Abelardo utilizza il commento di Boezio al testo di Aristotele) farà un salto qualitativo nella valutazione delle asserzioni modali, innanzitutto distinguendo gli enunciati assertori, come “Il vino è un alimento”, oppure “Il vino non è un alimento”, che riguardano l’inerire (de inesse), cioè il possedere o meno una determinata proprietà dalle asserzioni modali, che specificano il modo secondo cui il soggetto possiede la proprietà in questione. Tra le asserzioni modali si distinguono poi quelle de dicto, se il modo che le qualifica si riferisce all’intera frase: “il vino biologico non è vino naturale” (necessariamente vero); oppure de re: “il vino biologico non è vino necessariamente naturale” oppure “il vino biologico non è naturale necessariamente”, se una cosa ha o non ha un certa proprietà in modo necessario. Questa distinzione tra le proposizioni modali (de dicto/de re) giunge a noi, attraverso il dibattito filosofico, linguistico e matematico, che attraversa un paio di millenni, più o meno immutata.
Il lascito secolare di queste pratiche lessicologiche sono i ‘mondi possibili’: “Mr Tupman espresse ancora il vivo desiderio di partecipare alla festa; ma non trovando riscontro nello sguardo offuscato di Mr Snodgrass né in quello distratto di Mr Pickwick, si dedicò con grande interesse al vino di Porto e al dessert che erano stati appena portati in tavola. Il cameriere si ritirò e li lasciò a godersi in pace quel paio di ore deliziose che coronano i pasti. «Chiedo perdono, signore», prese a dire lo sconosciuto, «bottiglia ferma – fatela girare – direzione del sole, dalla parte delle asole – fino all’ultima goccia». Si scolò il bicchiere che aveva riempito due minuti prima e se ne versò un altro con l’aria di chi quell’abitudine ce l’ha nel sangue. Il vino venne fatto girare e fu subito ordinata una nuova scorta. L’ospite chiacchierava, i pickwickiani ascoltavano. In Mr Tupman, a ogni istante che passava, cresceva la voglia di andare al ballo. Mr Pickwick, raggiante, trasudava benevolenza da tutti i pori; Mr Winkle e Mr Snodgrass dormivano della grossa.[3]”
Potremmo affermare, con David Lewis, esegeta del realismo modale, che “ci sono molti modi in cui le cose avrebbero potuto essere, oltre al modo in cui effettivamente sono.” Questi mondi possibili, inclusivi, isolati gli uni dagli altri, causalmente indipendenti, che condividono proprietà esemplificate dagli oggetti che appartengono a ciascun mondo esistono parallelamente al nostro, o meglio ci introducono nuovamente al discorso aristotelico sulla potenzialità e a quello, ben più pernicioso, sulla verità.
Partiamo allora da quello che Roland Barthes chiamò “il verosimile critico”: al di là di ogni metodo, il verosimile critico, nel dibattito su come dovrebbe essere il vino, si pone al di qua di ogni ragionevole dubbio. Innamorato dell’evidenza, il verosimile critico, elabora regole che non si possono trasgredire, a meno che non si voglia toccare la natura stessa delle cose: “i disaccordi diventano deviazioni, le deviazioni errori, gli errori peccati, i peccati morbi, i morbi mostruosità[4].”
Alla base di tutto, probabilmente, c’è la funzione totalitaria del verbo ‘essere’: “ancora oggi, dal punto di vista strategico, il verbo essere serve un po’ a tutto, è dotato dei significati più contraddittori; sbrigativo, discreto e innocente, trasforma, con un colpo di bacchetta magica, un’opinione in verità, una speranza per il futuro in antichissima realtà, una semplice affermazione in Natura universale; arma, utensile o velo, a seconda delle necessità della Causa, è lo Scapino[5] della retorica oltranzista. […] Ecco cosa c’è nel verbo essere della retorica oltranzista: una furibonda collusione tra l’indicativo e l’ottativo, la trasformazione impossibile del desiderio in fatto, del futuro in passato, al di sopra di un presente che resiste[6]”.
Dunque, per concludere, il vino non ‘è’ o non ‘non è’, ma potrebbe…
[1] Il vino e l’enologo sono miei, il resto di Aristotele.
[2] Cfr. Massimo Mugnai, possibile NECESSARIO, Il Mulino, Bologna 2013
[3] Il circolo Pickwick (The Posthumous Papers of the Pickwick Club, abbreviato in The Pickwick Papers, 1836) fu il primo romanzo dello scrittore inglese Charles Dickens.
[4] Roland Barthes, Critica e verità, Einaudi, Torino 2002, pag. 20
[5] Scapino Maschera del teatro italiano, figlio di Brighella, che rappresenta il servo incostante, intrigante, spiritoso, mentitore e millantatore, detto anche Scappino. Indossava il camicione e i pantaloni bianchi degli Zanni, cui in seguito si aggiunsero una livrea listata di verde. Celebri S. furono F. Gabrielli, G. Bissoni, bolognese (inizi 18° sec.), e A. Ciavarelli, napoletano (18° sec.). Molière ne fece il protagonista della commedia Les fourberies de Scapin (1671). Teccani.it
[6] R. BARTHES, Mythologies, du Seuil, Paris 1993, trad. it. di L. Lonzi, Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1994, pp. 263-265.
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