Si può essere contrari ad una parola?

I dibattiti in rete sono davvero curiosi, ma sicuramente di qualche interesse: http://www.intravino.com/primo-piano/quelli-che-il-vino-lo-vorrebbero-illegalmente-naturale/#more-62854. Ci si incaponisce sulla legittimità di un termine quasi questi avesse una sola modalità di essere espresso ed inteso. Come se tutte le parole che usiamo avessero la stessa capacità esplicativa, mentre a volte, e a volte spesso, ciò che domina è l’equivoco: possiamo discutere se il termine ‘naturale[1]’ sia il più appropriato per la descrizione di un vino, ma non possiamo certo dubitare sulla sua molteplicità esplicativa: “che riguarda la natura”, ma anche “che deriva da essa”, ma anche che “è conforme ai suoi principi”, ma ancora “ovvio”, “normale” e poi “non artificiale”, “genuino”, “non alterato”. Dal momento che non è un termine contemplato nella legislazione vitivinicola, il termine ‘naturale’ è significante e nello stesso tempo significato per chi lo usa. Ma l’autore in questo caso, lo scrittore avrebbe detto Barthes, fa parte di un discorso più ampio, in cui le parole emergono oltre l’intenzionalità esplicita di chi le utilizza: quante cose oggidì sono naturalmente ‘naturali’. Discutibile? Come tutto! Inutilizzabile? E perché mai? Perché “un’ermeneutica che si ripiega su una semiologia crede all’assoluta esistenza dei segni: abbandona la violenza, l’incompiuto, l’infinità delle interpretazioni per far regnare il terrore dell’indice, e sospettare il linguaggio[2].” 

Potremmo quindi dedurre che ‘naturale’ è un aggettivo illegalmente legittimo. 

[1] http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/N/naturale.shtml 

[2] Michel Foucault, Nietzsche, Freud e Marx (1967), in Archivio Foucault  1. (1961-1970), Follia, Scrittura, Discorso, a cura di Judith Revel, Feltrinelli, Milano 1996, pag. 146