Ne approfitto qui per scrivere sopra le guide dei vini: sulla loro capacità o incapacità di esprimere dei giudizi ampiamente condivisi, sui metodi e sui criteri di scelta delle fonti e dei metodi, e, per finire, sull’annoso problema legato all’oggettività di una valutazione. Le prime guide a noi giunte oramai quasi due secoli fa sono quelle legate al turismo: dopo i primi fasti del Grand Tour seicentesco, che vedeva rampolli di famiglie borghesi ed aristocratiche aggirarsi per mezza Europa coadiuvati da accompagnatori e ciceroni locali, si fa spazio, agli inizi dell’Ottocento, a seguito dei processi di razionalizzazione produttiva, uno strumento che, forse al pari dell’attuale rivoluzione informatica, costruisce uno dei primi strumenti democratici di accesso alle risorse conoscitive: la guida turistica. La prima guida, Handbook for Travellers on the Continent, viene pubblicata da Murray (Murray’s Red Guides) nel 1836, seguita tre anni più tardi dalla Baedeker. Le guide forniscono non solo indicazioni culturali, paesaggistiche, enogastronomiche, ma anche indicazioni pratiche sui prezzi, sul cambio della moneta, sugli orari di apertura degli sportelli (postali…) e via dicendo. Cercano insomma di dare al viaggiatore inesperto quella qualità e qualità di dati in modo tale da consentirgli di destreggiarsi in maniera autonoma. Naturalmente, ed è bene sottolinearlo, c’è un punto di vista, quello dell’autore della guida, che risponde a canoni sociali, culturali, estetici (anche pregiudiziali) dell’epoca, in riferimento ad una classe, quella dei viaggiatori, composta da persone di alto ceto e molto danarose. Non diversamente dalle altre guide anche quelle sui vini conducono l’inesperto consumatore nel vortice di innumerevoli territori e di diversissime produzioni. Fanno da apripista, agli inizi dello scorso secolo, alcune guide innovative come la “Guida storica del Chianti e vademecum utile per tutti, specialmente per gl’industriali e consumatori di vino, con illustrazioni e carta geografica” di Antonio Casabianca, pubblicata nel 1908 da Lastrucci a Firenze, oppure quella del “Vino all’ombra : guida sentimentale delle osterie del Friuli, di Trieste e dell’Istria : con un panorama dei vini italiani ad uso del bevitore intelligente”, scritta da Chino Ermacora nel 1935 per le edizioni de La Panarie di Udine. Ma è soltanto con il secondo dopoguerra che le guide del vino s’impongono all’attenzione nazionale: magari in compagnia, con il cibo, in un naturale sposalizio d’amore, come avvenne per le magnifiche edizioni di cucina nazionale (1956) e regionale nel sodalizio tra il grande cuoco romano Luigi Carnacina e il più illustre commentatore enogastronomico della nostro recente passato, Luigi Veronelli, oppure da sole. Guide che conducono e sintetizzano un mondo misconosciuto e inaccessibile ai più: rendono conto ad un lettore di Torino, come a quello di Palermo, ma anche di Parigi, di Oslo o di Singapore le varietà vinicole e produttive di territori molto distanti fra di loro. Elencano, narrano e giudicano: lo scopo comunicativo delle guide è quello di dare corpo fisico ad aspetti sensoriali e figurativi rispettando, almeno apparentemente, il postulato dell’obiettività. “Ciò si traduce, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, in forme linguistiche prevalentemente impersonali, con la tendenziale cancellazione della presenza del soggetto enunciatore, ‘l’apparecchiatura formale del discorso, che consiste innanzi tutto nella relazione di persona io: tu’. Eppure, in questo ostentato trionfo della non-persona, la terza, il soggetto enunciatore rivela la propria presenza nel testo e vi richiama, in maniera implicita ma costante, l’enunciatario, figura simulacrale dell’uditorio, la cui adesione è lo scopo ultimo dell’atto descrittivo della guida. La presenza dell’enunciatore del discorso emerge in quanto informatore e costruttore del testo. Secondo la teoria dell’enunciazione formulata in ambito semiotico, ogni enunciato, anche quello in apparenza più impersonale, presuppone un’enunciazione e ne manifesta al proprio interno delle tracce più o meno visibili, producendo effetti di senso di verità, di particolare realismo, di oggettività che si riverberano sull’immagine della guida stessa. (…) Nella sua definizione più ampia, la valutazione è intesa come espressione del punto di vista, dell’atteggiamento o dell’affettività di chi scrive nei confronti di entità o proposizioni che costituiscono l’oggetto dell’enunciato. Fare una valutazione o esprimere un’opinione ha l’effetto di persuadere l’audience in merito ai valori di verità, correttezza, rilevanza, ecc. della posizione assunta, e nello stesso tempo è espressione del sistema di valori condivisi, da chi scrive e chi legge, nonché contributo individuale alla costruzione e mantenimento del sistema stesso[1].” Il problema della scrittura, del grado di giudizio e della sua plausibilità è un affare che tutte le guide del vino si sono poste e si pongono: il ‘grado zero’ della scrittura non solo non toglie, ma aggiunge problemi di comprensione e, poi, la gran quantità di dati raccolti all’interno di ogni guida impedisce una selezione razionale del contenuto: a volte solo per stanchezza! Ecco perciò che per ragioni di fruibilità immediata, che rimanda a sua volta al contenuto scritto, il voto (numeri, chiocciole, bicchieri, grappoli…) funziona da sintesi della sintesi. Esso è, in forma inequivocabile, il contenuto per eccellenza, o meglio ancora ciò che tutto racchiude. L’occhio che scorre cade immediatamente lì dove deve cadere, e poi, se vuole, s’inoltra nel resto. Ma il numero non è solo semplificazione; esso è anche forma estrema del tentativo di oggettivizzazione: è la storia culturale che consegna alla matematica una discutibile quanto plausibile funzione di rappresentazione oggettiva della realtà. Ed ora veniamo alla mia parte: quale criterio utilizzo per definire credibile il giudizio di una guida? Tre elementi fondamentalmente: la storia curriculare dell’estensore(i)[2] del testo (un po’ come del produttore di vino), il metodo che utilizza nella valutazione, comprensivo di errori[3], ovvero le idee di fondo che ha del vino e per finire il contesto in cui scrive (carta, blog… editore, pubblicità o meno…). Sostanzialmente una media ponderata tra la mia soggettività e quella degli estensori, purché la loro sia sostenuta da una importante e qualitativa esperienza.
[1] Renzo Mocini, La comunicazione turistica. Strategie promozionali e traduttive, tesi di dottorato, Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di teorie e ricerche dei sistemi culturali, in http://eprints.uniss.it/3482/1/Mocini_R_Tesi_Dottorato_2010_Comunicazione.pdf
[2] Cfr. Alessandro Masnaghetti, Consigli a un giovane degustatore, http://www.intravino.com/primo-piano/consigli-a-un-giovane-degustatore/, venerdì 17 febbraio 2012
[3] Cfr. La distorsione derivante dai degustatori nei punteggi delle guide – studio AAWE, http://www.inumeridelvino.it/2012/03/la-distorsione-derivanti-dai-degustatori-nei-punteggi-delle-guide-studio-aawe.html, 22 marzo 2012