A volte capita che, nei giorni di festa, mi alzi presto: un po’ perché ho una sveglia incorporata, quella dei giorni infra-settimanali, quando suona tra le sei e trenta e le sette, un po’ perché i pensieri si affollano tumultuosi nella mente e non mi lasciano più dormire. Quando succede, salto velocemente fuori dal letto, mi vesto altrettanto rapidamente ed esco di casa mentre tutti dormono (i miei due bambini di 3 e 8 anni e mia moglie). Ne approfitto per andare a comprare il giornale e per fare la colazione al bar, solitamente da “Giuse” in via san Lorenzo, perché lì trovo un buon caffè, ottime paste e la focaccia di produzione propria. Dopo aver consumato la colazione chiedo al barista di imbustarmi due brioches (una vuota e una con la marmellata) e un pezzo di focaccia da portare a casa per la colazione dei dormienti. Questa mattina, invece, cambio percorso e svolto in via dei Giustiniani dove avevo notato, qualche tempo addietro, che ha aperto un nuovo esercizio commerciale in prossimità del ristorante senegalese. Sulla porta di ingresso c’è scritto: “Vera focaccia genovese fatta da un vero genovese.” Quando vedo quelle insegne cambio direzione, ma poi penso che mi trovo a Genova, nei vicoli e che lì certe forme di identità etno-culinaria precedono qualsiasi assunto politico, e allora entro nel negozio dove mi accoglie un signore non più giovane e vestito, come si conviene, con tuta da lavoro, grembiule e cappellino bianchi. Mi accoglie gentilmente, mi parla in un misto dialettale (italo-genovese) perché capisce che non sono un autoctono, il tutto naturalmente intercalato dal canonico ‘belin‘, e mi declina i prezzi delle merci (focaccia, brioche, krapken…). Mentre mi sta servendo gli chiedo come va e lui mi risponde che non gira tanto perché la gente non ha soldi da spendere e poi perché “si sono contratti i consumi della classe operaia!.” Proprio così: “classe operaia”, nessun eufemismo, nessun sinonimo e contrario, proprio la vecchia e gloriosa working class genovese. Mi sveglio progressivamente dal torpore della mattinata quando lui, il pasticcere, prende il là ed inizia a farmi una relazione dettaglia sull’attacco del capitalismo finanziario al sud-Europa, sulle forme di resistenza da tenere e finisce con “…perché noi comunisti anche in passato ci alleammo con altre correnti per combattere il fascismo eccetera eccetera….!” A quel punto sono completamente sveglio e ho gli occhi sgranati e increduli: inebetito, lo ringrazio e torno a casa. Un unico rammarico: non me la sono sentita di chiedergli se fosse anche trotzkista.