Ci trovammo una sera umida e appiccicosa del brumaio di due anni fa intorno ad una tavola di legnaccio compresso su cui poggiavano una serie di boccali traboccanti, per il tempo necessario (una lager, due stout, due weizen, sei Imperial Ipa e un succo al tamarindo): il sottoscritto, Fiorenzo (gli Intravinici di stanza locale) e una compagine cospicua dell’Associazione Culturale Papille Clandestine di Genova. “Perché non collaboriamo?” – “Perché no!!?!!”.
Ruminammo a lungo sulle possibili iniziative da portare a compimento in maniera congiunta; ci vennero in mente proposte di tutto riguardo e, soprattutto, di ampio respiro: la festa nazionale a premi dei picnic; il primo festival italiano della stele fallica (su imitazione di quello giapponese); il ritrovo mondiale delle persone con i capelli brizzolati; un convegno sulla fine delle quattro stagioni… Il brainstorming stava funzionando alla grande quando uno dei papilli ci interrogò mentre stava ingurgitando la sua quattordicesima Gose ai lattobacilli: “noi organizziamo il più bel festival della birra artigianale che ci sia nel territorio ligustico e non solo: perché non ne facciamo uno sul vino?” – “Ma dai! Che razza di sciocchini! Come abbiamo fatto a non pensarci prima?!?”
E così nacque l’idea del Genova Wine Festival: ci chiederete la ragione del nome in inglese. Potremmo rispondervi che Genova ha dei lunghi e consolidati rapporti con la perfida Albione; potremmo aggiungere che lo abbiamo fatto per internazionalizzare un evento locale. La verità, quella vera, è però un’altra: un componente anziano del gruppo di Papille Clandestine aveva la lingua impastata e arrotolata da una eccellente Cascadian Dark Ale frammista a degli untuosi popcorn, quando proferì uno strano verso che per molti noi suonò più o meno così: GWF! Insomma, per farla breve, proruppe dapprima l’acronimo. Ora si trattava di riempire di contenuti (ed in particolare di bottiglie) il Genova Wine Festival. Le idee non mancarono neppure in questo caso: ci fu chi volle portare all’attenzione dei genovesi “i vini poetici”; alcuni preferirono a questi “i vini solipsistici”; altri ancora sostennero che Genova si meritava “i vini melanconici”. Quando, tutto ad un tratto, una cameriera dagli occhi da lupa che masticava caramelle alascane, urlò in mezzo alla sala: “Chi ha ordinato il pigato?” Fu allora che, guardandoci intensamente negli occhi, per quanto la birra lo permettesse, ci intendemmo al volo: i vini che bevono i genovesi, all’incirca. Però buoni. Perché molti genovesi bevono vini cattivi che qui prendono il nome di cancaroni (Il dottor Trelawney era inglese: era arrivato sulle nostre coste dopo un naufragio‚ a cavallo d’una botte di bordò. Naufragato da noi‚ aveva fatto subito la bocca al vino chiamato «cancarone»‚ il più aspro e grumoso delle nostre parti. Italo Calvino, Il visconte dimezzato): soprattutto Liguria e basso Piemonte, poi alcune rassicurazioni dall’Oltrepò Pavese, suggestioni piacentine, dirimpettai sardi, propaggini toscane e qua e là suggestioni del territorio italico.
“Ma dove lo facciamo?” Escluse le case dei presenti, avevamo ben chiaro che il posto dovesse essere di assoluto e riconosciuto prestigio: lo stadio di calcio “Luigi Ferraris”! In men che non si dica partirono gli insulti, e poi i cori, mentre occhi torvi si incrociavano lungo sguardi di puro e semplice odio: “ma no, dai, facciamolo a Palazzo Ducale!” – Silenzio – Ci sedemmo e, al posto di lanciare i boccali, li usammo per un brindisi rasserenante.
“Ma quando?” – “Quando è libero!” “E cioè?” “Il 2 e il 3 di marzo”. “Ah! D’accordo!” “Ma di che anno?” “2019” “2019????” “Sì, esatto!” “Va bene, faccio in tempo a comprarmi un vestito buono”. Chiuso il sipario.
“Se il vino è al vino e il pane è al pane, di companatico cosa mettiamo?”. Approfondimenti, laboratori, degustazioni e risse in piena regola e senza esclusione di colpi. Per l’occasione abbiamo ingaggiato anche le giovani e speranzose novizie del Master in Wine Culture, Communication & Management dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Noi, al massimo, reggiamo una partita di briscola.
“E il costo d’ingresso? Belin, vivi a Genova e non dici una parola sulle palanche?” “12 euro con u gottu (il calice) ed è tutto grasso che cola”. Ci sarà anche il food, come dicono quelli bravi, ma i lavori sono in corso, ce n’est qu’un début, e presto saprete cose.